Spettabile Ufficio di Gabinetto del Ministro della Giustizia, Onorevole Signor Ministro Dott. Carlo Nordio, Il sottoscritto avv. Vincenzo Massimiliano Di Fiore intende sottoporre al Signor Ministro della Giustizia, Dott. Carlo Nordio, la questione di seguito riepilogata affinché possa essere intrapresa iniziativa di Governo idonea a porvi rimedio.
PREMESSA. Gli artt. 2, 24 e 111 della Costituzione sono inestricabilmente connessi nella valutazione di contrasto all’abuso del diritto di seguito prospettato. Le norme di rango costituzionale si intersecano nella esigenza di concretizzare il Principio di effettività di cui all’art.19 del Trattato europeo che unitamente agli artt. 38 e 47 della Carta di Nizza, come ben sappiamo, prevalgono oltre ogni limite attualmente dettato in rango di diritto processuale civile. La questione di seguito esposta riflette, altresì, l’esigenza di garantire la “parità delle armi” così come previsto dall’art. 6 della Convenzione EDU. Soltanto una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili è in grado di garantire l’attuazione dei principi di civiltà giuridica in ogni sistema democratico. La ricerca del rimedio effettivo spetta al giudice ordinario soltanto se la legge ne prevede espressa applicazione. E, nel caso di seguito prospettato, la legge non appresta alcun rimedio effettivo, concreto o deflattivo.
IL TEMA SPECIFICO riflette un increscioso abuso del diritto. La responsabilità professionale è obbligatoria, ma l’azione civile che ne discende dà luogo a un escamotage senza conseguenze per l’attore e per il difensore che ha patrocinato la causa nei seguenti specifici casi: azione infondata (art. 91, co.1 c.p.c.), manifestamente infondata (art. 183 c.p.c.), slealtà (art. 92, co. 1 c.p.c.), scorrettezza (art. 92, co. 1 c.p.c.), o se l’attore e il suo difensore hanno infranto il divieto di “venire contra factum proprium” (art. 1.8 Unidroit 2024 e art. 92, co. 1 c.p.c.). Peraltro, il nuovo art. 183 Quater c.p.c. (introdotto dalla riforma Cartabia) non ha introdotto alcuna sanzione per la parte attrice -in solido o in via sussidiaria con il difensore- benché essi siano coautori e confitenti ex art. 229 c.p.c. del medesimo atto introduttivo dichiarato manifestamente infondato. Si ritiene doveroso e necessario un intervento normativo volto a porre rimedio alle ipotesi sopra prospettate mediante imposizione di idonea cauzione ovvero mediante introduzione di sanzioni civili di tipo pecuniario nei confronti dell’attore che ha abusato del processo con azione di RCP in via solidale ovvero in via sussidiaria con il difensore che ha patrocinato la causa dall’esito infausto. L’obbligazione di mezzi del professionista-convenuto per la RCP la cui dignità professionale è posta in gioco nei tre gradi di giudizio deve dar luogo alla previsione di una norma “ad hoc” tale da preservare le vere finalità della obbligatorietà della polizza per la RCP scongiurando ogni sorta di abuso o di approfittamento. Urge, dunque, una norma che restituisca ai contendenti la “parità delle armi” sul presupposto per cui la RCP non deve dar luogo a speculazioni ad onta della dignità professionale. Il professionista non è un ostaggio alla mercé dell’attore per effetto della mera obbligatorietà della RCP introdotta dalla legge ordinaria e a pena di cancellazione dall’Albo forense. Se, in una delle cinque ipotesi sopra menzionate, l’attore risultasse nullatenente (come sovente accade) la legge aprioristicamente deve imporre al difensore che ha patrocinato l’ingiusta causa per RCP il pagamento in via solidale o sussidiaria di una congrua e immediata sanzione in favore dello Stato. L’obbligatorietà della polizza per la RCP non deve essere surclassata dalla condotta dell’attore-nullatenente e/o dall’attività del difensore che lo difende senza incorrere in alcuna conseguenza per i casi di infondatezza della domanda, di manifesta infondatezza, di slealtà e di scorrettezza o per i casi in cui i callidi autori abbiano infranto il divieto di “venire contra factum proprium”. La mancanza di conseguenze deterrenti favorisce e moltiplica l’incondizionato innesco della lite per RCP che, persino, in caso di manifesta infondatezza o di comportamento sleale e scorretto lascia intendere che la finalità sia solo quella di tentare di carpire l’assegno dalla Compagnia assicurativa del professionista il quale resterà inerme e immerso in un altrettanto ovvio contesto denigratorio per l’intera durata del processo in primo grado, in appello e in Cassazione e ciò per oltre 10 anni. L’introduzione di una norma specifica nel processo per RCP avente efficacia deterrente, dissuasiva e frenante restituirà a tutti i professionisti (circa 1.500.000 unità) parità di armi ed effettività del processo che altrimenti risulterebbero calpestate ad onta, altresì, dei progetti di cui al PNRR che impongono la necessità di attuare un più proficuo smaltimento dei processi civili. I princìpi di adeguatezza, di proporzionalità e di effettività dei rimedi sanciti dalla CARTA SOCIALE EUROPEA e dal COMITATO EUROPEO DEI DIRITTI SOCIALI rappresentano le ragioni fondanti della odierna esortazione affinché il Signor Ministro della Giustizia possa intraprendere ogni consequenziale e idonea determinazione in seno all’attuale compagine di Governo. Con somma deferenza Vincenzo Massimiano Di Fiore