L’Unione, su invito della Corte EDU, con il pregevole contributo del Centro Studi giuridici e sociali “Aldo Marongiu” e degli Osservatori “Misure Patrimoniali e di prevenzione” ed “Europa” ha depositato le proprie osservazioni scritte in tema di misure di prevenzione, quale terzo autorizzato in un giudizio in corso. La nota della Giunta.
La Giunta, con il pregevole contributo del Centro Studi giuridici e sociali “Aldo Marongiu” e degli Osservatori “Misure Patrimoniali e di prevenzione” ed “Europa” ha depositato le proprie osservazioni scritte, su invito della Corte EDU che, con propria mozione, ha chiesto di essere coadiuvata dall’Unione per l’adozione della decisione.
L’intervento è stato predisposto tenendo conto dei seguenti quesiti, prospettati dalla Corte alle parti: I) se la confisca di prevenzione sia compatibile con l’art. 1 Prot. add. CEDU e se l’interferenza nel diritto di proprietà risulti fondata su una base legale sufficientemente precisa e rispettosa del parametro della prevedibilità in particolare affrontando i seguenti aspetti: a) se le autorità nazionali hanno effettuato una valutazione sufficientemente individualizzata della sproporzione tra i beni dei ricorrenti e i redditi leciti, al fine di identificare quali beni confiscare; b) se le autorità nazionali hanno dimostrato in maniera motivata che i beni confiscati appartenevano al parente del ricorrente, sulla base di una valutazione oggettiva delle prove fattuali; c) se i ricorrenti hanno avuto una ragionevole opportunità di presentare le loro argomentazioni davanti ai tribunali nazionali e se questi ultimi hanno esaminato adeguatamente le prove presentate dai ricorrenti; II) se, tenuto conto della qualificazione della misura contestata secondo il diritto interno e la giurisprudenza, della sua natura e del suo scopo, delle procedure coinvolte nella sua imposizione e applicazione, e della sua gravità, la confisca di prevenzione costituisca una “pena” ai sensi dell’Articolo 7 § 1 della Convenzione; III) se l’applicazione di misure di prevenzione, in assenza di una formale dichiarazione di colpevolezza, violi la presunzione di innocenza, garantita dall’Articolo 6 § 2 della Convenzione. In risposta ai suddetti quesiti e agli aspetti connessi indicati dalla Corte Edu, l’Unione ha offerto le proprie osservazioni, di seguito sinteticamente esposte. IN MERITO AL PRIMO QUESITO: “La Corte Costituzionale (sent. 24/19) ha già ritenuto l’art. 1, lettere a) e b) D.L.vo 159/11, non accessibile nella sua formulazione e non prevedibile quanto alla sanzione. Tuttavia, ha considerato che le misure di prevenzione non siano “materia penale” e possano pertanto essere integrate dalla giurisprudenza successiva. L’Unione delle Camere Penali Italiane ritiene che ciò violi l’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione, che prevede la riserva di Legge sui casi di limitazione della proprietà privata. Nessuna Legge può essere considerata tale se non possiede le “qualità di Legge”, tra le quali la sufficiente accessibilità del suo precetto e la prevedibilità circa le conseguenze della sua violazione. La CEDU (Grande Camera, De Tommaso/Italia) ha già ritenuto che tali qualità non possano essere attribuite da parte di giurisprudenza formatasi dopo i fatti che devono essere giudicati, sia perché verrebbero sanzionate condotte non selezionate dalla Legge, ma discrezionalmente individuate dai Giudici; sia perché ciò contrasterebbe con il requisito della prevedibilità, secondo il quale il cittadino deve conoscere le possibili reazioni dell’ordinamento prima di determinarsi a tenere una particolare condotta. La possibilità di integrare il significato di una Legge priva di accessibilità, qualora questa incida sul diritto di proprietà, viola la riserva di Legge di cui all’art. 1 prot. Add. CEDU. Del pari, la retroattività di una norma sanzionatoria contrasta con il principio di prevedibilità della Legge, per come sancito dall’art. 7 della Convenzione, nonché dall’art. 25.2 Cost.. Tali norme devono applicarsi anche alla materia della prevenzione, che rientra nel “diritto penale materiale”, cioè alle norme che, pur non avendo una collocazione espressa nel diritto penale sostanziale, concorrano a definire i casi ed i modi di irrogazione di una sanzione (Cass. SSUU. 4145/23).”. “Per la Corte di Cassazione, lo standard probatorio sufficiente a ritenere che un soggetto debba considerarsi pericoloso è integrato dall’indizio semplice, al di fuori dalle regole stabilite in materia penale dall’art. 192, comma 2 del codice di procedura penale. Si tratta, quindi di un giudizio su base probabilistica e fondamentalmente presuntiva, suscettibile in quanto tale di interpretazioni alternative, che si pone in netto contrasto con il canone “in dubio pro reo”, recepito da ultimo dalla Direttiva (UE) 9 marzo 2016 n. 343, 22° “considerando”, in cui si precisa che qualsiasi dubbio dovrà valere in favore dell’indagato o dell’imputato. A canoni anche più vaghi ed incerti si ispira la giurisprudenza interna nella valutazione della confisca, che si fonda su una doppia presunzione: da un lato, si presume pericoloso in quanto indiziato di un determinato delitto sintomatico di pericolosità; dall’altro si presume che i suoi beni abbiano origine illecita e siano, pertanto, meritevoli di provvedimenti definitivamente espropriativi a favore dello Stato. L’iniquità dei caratteri della prova di prevenzione è aggravata dal fatto che il procedimento applicativo della misura di prevenzione non è adversarial, poiché: 1) il giudice della prevenzione non è imparziale, cumulando la funzione di giudice nel sub procedimento cautelare e di giudice della confisca dei beni medesimi; 2) il difetto di imparzialità del giudice è avallato dalla giurisprudenza interna; 3) il giudice della prevenzione può procedere ad autonome indagini; 4) e può sequestrare i beni passibili di confisca di prevenzione o disporre le misure di cui agli articoli 34 e 34 bis anche in assenza di una richiesta dell’ organo proponente. A parere dell’Unione delle Camere Penali Italiane, dunque, le disposizioni evocate e la loro interpretazione ad opera delle corti interne, evidenziano lo squilibrio funzionale che caratterizza il processo di prevenzione e la palese violazione dei principi di cui all’art. 6, c. 1, Convenzione”. IN MERITO AL SECONDO QUESITO: “L’Unione Camere Penali Italiane ritiene che la misura di prevenzione patrimoniale prevista dagli artt. 1, 4 e 24 d.lgs. 159/2011 basata sulla pericolosità generica sia qualificabile come sanzione penale ai sensi dell’articolo 7 § 1 della Convenzione. La giurisprudenza interna più recente (Corte Costituzionale sentenza n. 24 del 2019) ha riconosciuto alla misura della confisca patrimoniale basata sulla pericolosità generica una <> e pertanto un quantum di pena; tuttavia, poiché sia la pena che la misura di prevenzione hanno una natura multiscopo, sia afflittiva che preventiva, l’eventuale dimensione punitiva connessa alla misura patrimoniale non consentirebbe, secondo i giudici interni e il Governo, di negarle lo scopo preventivo. La funzione preventiva della misura di prevenzione patrimoniale viene individuata dalla Corte Costituzionale (n. 24 del 2019) nell’effetto «ripristinatorio della situazione che si sarebbe data in assenza dell’illecita acquisizione del bene». L’UCPI osserva che se è vero che la misura di prevenzione patrimoniale ha una dimensione sia punitiva che preventiva-ripristinatoria, il suo corretto inquadramento giuridico non può fondarsi sul criterio dello scopo poiché esso è multiforme e una misura preventiva, così come una sanzione penale, esplicano una funzione in parte punitiva e in parte preventiva. Il criterio rilevatore che consente oggettivamente di perimetrare – unitamente ad altri – la natura della misura di prevenzione patrimoniale va individuato negli effetti empirici che la sottrazione patrimoniale produce sulla proprietà dell’individuo. La severità della misura, intesa come quantum di effetto punitivo in essa contenuta, costituisce un parametro di comparazione per stabilire se nella confisca di prevenzione prevale un effetto maggiormente punitivo o maggiormente preventivo. La nozione di «pena» contenuta nell’articolo 7 § 1 della Convenzione ha una portata autonoma (G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia (merito) [GC], § 210) e assume rilievo se la misura sia stata imposta in seguito a una condanna per un «reato» come avviene nella maggior parte dei casi in Italia. Gli ulteriori elementi che delimitano la nozione di sanzione penale possono essere ricavati dalle procedure previste per la sua adozione e dalla sua gravità (G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia (merito) [GC], § 211; Welch c. Regno Unito, § 28; Del Río Prada c. Spagna [GC], § 82), oltre che dal suo scopo. Il rapporto scopo-gravità (funzione-effetti) che la Corte Edu è chiamata a valutare dovrebbe tener conto che la funzione di prevenzione della confisca dichiarata dai giudici interni contrasta con la sua natura maggiormente e concretamente punitiva e tale affermazione è supportata dai seguenti dati: a) la confisca può essere applicata a beni acquistati in passato anche risalenti nel tempo quando il soggetto era socialmente pericoloso in assenza di un pericolo attuale e concreto di commettere un futuro reato e quindi non ha alcuna finalità preventiva; b) l’applicazione possibile ma non frequente anche in assenza di un reato accertato in via definitiva non ne esclude la natura penale (Saliba c. Malta (dec.), domanda n. 4251/02, 23 novembre 2004; Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia, domanda n. 75909/01, 20 gennaio 2009; M. c. Germania, cit.; Berland c. Francia, ricorso n. 42875/10, 3 settembre 2015, § 42;) poiché la confisca di prevenzione presuppone sempre una valutazione incidentale, anche solo indiziaria, dell’esistenza di elementi costituenti reati lucro-genetici e rientra pertanto nella materia penale dell’art. 7 della Convenzione; c) la confisca di prevenzione è una misura definitiva e non temporanea e una volta che colpisce il patrimonio della persona, lo Stato si disinteressa completamente del suo modo di vivere; pertanto, così come delineata dall’ordinamento italiano, non assume una funzione di prevenzione ma solo di acquisizione del patrimonio poiché il bene in sé non può costituire un pericolo per la commissione di futuri reati se non rapportato ad un soggetto attualmente pericoloso. La dimensione preventiva è oggettivamente contraddetta dalla possibilità della confisca di altri beni per un valore equivalente e di legittima provenienza quando non è possibile confiscare i beni acquisiti illecitamente”. IN MERITO AL TERZO QUESITO: “L’Unione delle Camere Penali Italiane ritiene che l’applicazione di una misura di prevenzione, in assenza di previo accertamento di responsabilità penale, violi la presunzione di innocenza di cui all’art. 6 § 2 della Convenzione. Detta presunzione, nel diritto convenzionale, ha una accezione più ampia rispetto all’analoga disposizione costituzionale, poiché si riferisce alla figura “dell’accusato” di un reato. L’affermazione di pericolosità sociale, ai fini della misura di prevenzione, presuppone proprio l’accusa di uno o più reati e, consistendo in una contestazione di natura penale, è sottoposta alla presunzione di innocenza. Con particolare riferimento alla pericolosità sociale “generica” (art. 1 D. L.vo 159/11), la Corte Costituzionale (24/19), a seguito della sentenza De Tommaso/Italia, ha introdotto il requisito del previo accertamento penale di più reati produttivi di reddito che abbiano costituito, in un determinato periodo, l’unica o la principale fonte di reddito del soggetto. La Corte di Cassazione, invece, continua ad affermare l’autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale e, dunque, la possibilità di applicare le misure di prevenzione anche in assenza di una condanna penale (Cass. Sez. 6, n. 12699/24)”.
La Giunta nel manifestare la propria soddisfazione, ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del prezioso intervento dell’Unione quale terzo autorizzato nel caso Macagnino e riuniti vs Italia.
Roma, 9 settembre 2024. La Giunta