VICENDA TOTI: PARERE

Parere sui criteri da seguire, a norma delle prescrizioni costituzionali, nell’adozione di misure cautelari a carico di esercenti funzioni pubbliche, titolari di cariche elettive. Sommario: Il quesito; Il fatto; I criteri costituzionali per l’adozione di misure cautelari a titolari di cariche elettive; Gli effetti della misura adottata nel caso di specie e il mancato bilanciamento con il buon andamento dell’amministrazione, con il rispetto della volontà popolare e i diritti dei terzi; L’inapplicabilità della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio per gli «uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare» Conclusioni.

  1. Il quesito: Lo studio legale Savi chiede con urgenza un parere sul rispetto del principio di ragionevolezza nell’adozione di misure cautelari e, in particolare, sui criteri da seguire, a norma delle prescrizioni costituzionali, nell’adozione di misure cautelari a carico di esercenti funzioni pubbliche, titolari di cariche elettive. 2. Il fatto: L’ufficio del Giudice per le indagini preliminari ha adottato, in data 14 giugno 2024, una ordinanza di rigetto di istanza di revoca o graduazione di misure cautelari, confermando gli arresti domiciliari per il Presidente della giunta regionale della Liguria, eseguiti in data 7 maggio 2024. Tale ordinanza è stata motivata nel modo seguente: “Ritenuto che pertanto la misura in corso, tenuto conto altresì del breve tempo decorso dalla sua applicazione (poco più di un mese) appare proporzionata alla gravità dei fatti e adeguata in relazione al grado elevato di esigenze cautelari da soddisfare. Ciò, in particolare, anche considerando che, da un lato, l’applicazione di una misura di tipo interdittivo, quale quella della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, è preclusa dal divieto previsto dal terzo comma dell’art. 289 co. 3 cpp, che statuisce che “la misura non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare” (quale quello ricoperto dal Presidente della Regione Liguria); dall’altro l’applicazione di misure cautelari meno afflittive appaiono, allo stato, del tutto inadeguate rispetto alle esigenze cautelari tuttora presenti. Ritenuto pertanto che la misura in corso appare proporzionata alla gravità dei fatti e adeguata in relazione al grado di esigenze cautelari da soddisfare” . Come si può notare, la decisione è stata raggiunta considerando soltanto il rapporto tra gravità dei fatti e esigenze di cautela, aspetti interni alla procedura, senza considerare altri aspetti. I criteri costituzionali per l’adozione di misure cautelari a titolari di cariche elettive. Se, da una parte, non vi è dubbio che il grado di afflittività delle misure cautelari debba essere proporzionato alla gravità dei fatti e al principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, non vi è anche dubbio che vi siano altri elementi con i quali il tipo di misura cautelare debba essere bilanciato. Questo principio è stato sinteticamente ed efficacemente espresso in una recente sentenza della Corte costituzionale (230/21), par. 7: “Non sarebbero bilanciati correttamente gli interessi in gioco, in particolare quello (tutelato dall’art. 97 Cost.) al buon andamento dell’azione amministrativa e quelli contrapposti (tutelati dagli artt. 48 e 51 Cost.) dell’eletto al mantenimento della carica e degli elettori alla continuazione della funzione da parte del cittadino da essi democraticamente scelto, nonché il principio di non colpevolezza sino alla condanna definitiva (art. 27 Cost.)”. Il principio secondo il quale deve essere fatto un ragionevole bilanciamento di una molteplicità di diritti è stato fissato dalla Corte costituzionale nella sentenza 206 /99, par.12, secondo la quale “una misura cautelare, proprio perché tale, e cioè tendente a proteggere un interesse nell’attesa di un successivo accertamento (nella specie giudiziale), deve per sua natura essere contenuta nei limiti di durata strettamente indispensabili per la protezione di quell’interesse, e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui diritti che essa provvisoriamente comprime. Se eccede da tali limiti, è suscettibile di una valutazione di illegittimità costituzionale per l’ingiustificato sacrificio, che essa comporta, dei diritti del singolo”. Gli effetti della misura adottata nel caso di specie e il mancato bilanciamento con il buon andamento dell’amministrazione, con il rispetto della volontà popolare e i diritti dei terzi. Alla luce del principio fissato dalla Corte costituzionale, va accertato quali siano le conseguenze della misura disposta, innanzitutto, sul buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Il Presidente della Giunta regionale, in base allo Statuto della Regione Liguria vigente, adottato il 5 maggio 2005, e successive modificazioni, è “organo della Regione”. Le sue funzioni sono così indicate dall’art. 37.1: “Il Presidente della Giunta regionale: a) rappresenta la Regione; b) cura i rapporti con gli organi dello Stato e con gli altri enti territoriali che costituiscono la Repubblica; c) cura i rapporti con gli organi dell’Unione europea, con altri Stati e con enti territoriali interni ad altri Stati; d) definisce e dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; e) nomina e revoca i componenti della Giunta e attribuisce loro i rispettivi incarichi; f) convoca e presiede la Giunta; g) promulga le leggi ed emana i regolamenti; h) indice le elezioni e i referendum nei casi previsti dallo Statuto e dalla legge; i) ha la rappresentanza in giudizio della Regione; j) dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione; k) svolge gli altri compiti attribuitigli dallo Statuto e dalla legge, nonché tuttee funzioni non espressamente assegnate ad altri organi regionali”. L’art. 41.2 dello stesso Statuto dispone che “il Vice Presidente sostituisce il presidente in caso di impedimento temporaneo”.Ora, la varietà dei compiti, attinenti alle funzioni legislativa e amministrativa, oltre che ai rapporti con altri soggetti, nazionali e transnazionali, richiede una continuità delle varie attività del Presidente, attività che implicano la presenza, e alle quali il vicario può supplire solo temporaneamente, ciò che vuol dire per una durata limitata di tempo (ipotesi che non si verifica nel caso di specie, in quanto la contestata misura cautelare è stata eseguita il 7 maggio 2024, e quindi da essa sono già trascorsi quasi due mesi). Se l’impedimento non è temporaneo, subentrano le dimissioni, con l’effetto previsto dall’art. 126.3 Cost, per cui “L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio”. Dall’analisi delle norme discende che un impedimento non temporaneo impedisce lo svolgimento di funzioni pubbliche di cui il Presidente della giunta è investito, produce effetti sul funzionamento di un ente pubblico rappresentativo come la regione, bloccandone l’attività, produce effetti su numerosi altri soggetti. Dunque, il bilanciamento richiesto all’autorità che adotta le misure cautelari deve tener conto necessariamente non solo della gravità dei fatti, ma anche degli effetti che si producono, direttamente e indirettamente, sul buon andamento della pubblica amministrazione, che richiede la continuità dell’attività amministrativa, nonché sul rispetto della volontà popolare manifestata con la scelta del presidente “per diretta investitura popolare”. Nel caso di specie, come già notato, il Giudice per le indagini preliminari si è limitato a considerare che la misura cautelare fosse “proporzionata alla gravità dei fatti e adeguata in relazione al grado elevato di esigenze cautelari da soddisfare”, giungendo alla conclusione che “l’applicazione di misure cautelari meno afflittive appaiono, allo stato, del tutto inadeguate rispetto alle esigenze cautelari tuttora presenti” e che quindi quella adottata “appare proporzionata alla gravità dei fatti e adeguata in relazione al grado di esigenze cautelari da soddisfare”. Ne discende che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la misura adottata non risponde al criterio della ragionevolezza e proporzionalità desunto dal giudice costituzionale dall’articolo 3 della Costituzione e che quindi la misura cautelare adottata appare per questo motivo irragionevole, dovendo necessariamente il giudice rispettare l’obbligo di operare una ponderazione tra la gravità del reato, l’esigenza di continuità del funzionamento degli apparati pubblici, il rispetto della volontà popolare esercitata attraverso le elezioni e i diritti dei terzi che rimarrebbero coinvolti dalle eventuali dimissioni rese necessarie per il carattere non temporaneo dell’assenza del titolare di un organo di vertice della regione, che gli impedisce lo svolgimento delle funzioni pubbliche di cui è investito. 3. L’inapplicabilità della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio per gli «uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare» Le conclusioni appena esposte sono confermate da un’altra norma costituzionale, come interpretata estensivamente dal giudice costituzionale. Si tratta dell’art. 48.4, secondo il quale “il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”. Ora, la Corte costituzionale, con la sentenza 183/81, ha interpretato estensivamente tale disposizione, nel senso che essa provvede a una tutela non solo dell’elettorato attivo, ma anche di quello passivo. Infatti, nel par. 2 della decisione costituzionale si può leggere che “tale previsione riguarda, testualmente, il solo elettorato attivo, la disciplina del quale non può certo esser confusa con quella pertinente alla capacità elettorale passiva. Ma l’esigenza che gli eletti non siano privati dell’ufficio, sinché non intervenga una definitiva condanna implicante la loro interdizione, assume anch’essa in linea di massima – un preciso rilievo costituzionale. Come questa Corte ha sostenuto nella sentenza n. 46 del 1969, “le cause di ineleggibilità, derogando al principio costituzionale della generalità del diritto elettorale passivo, sono di stretta interpretazione e devono comunque rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire la soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate”. Ed il criterio sintetizzato dalla Corte con l’assunto che “l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità è l’eccezione”, vale non soltanto per le cause originarie di esclusione, ma anche per le cause sopraggiunte, compresa l’ipotesi di provvisoria sospensione dall’esercizio delle cariche elettive. In altre parole, malgrado la citata statuizione dell’art. 48, terzo comma, non s’imponga in questo campo con la stessa assolutezza che essa presenta in tema di limitazioni dell’elettorato attivo, resta che l’interesse alla conservazione dei collegi eletti dal popolo non può essere sacrificato, se non in considerazione di effettive necessità di giustizia, rimesse alle non arbitrarie valutazioni del legislatore”. È su questa base che l’articolo 289.3 del codice di procedura penale ha disposto che la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio “non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare”. Questa conclusione, raggiunta dalla Corte costituzionale e dal legislatore per quanto riguarda le misure interdittive, si estende alle misure cautelari che producono lo stesso effetto delle misure interdittive per il principio che ciò che non può essere fatto direttamente non può essere fatto neppure indirettamente. Conclusioni. In conclusione, fermo il principio costituzionale secondo il quale per limitare l’esercizio di una funzione elettiva solo una sentenza può disporre, principio che, se vale per le interdittive a maggior ragione vale per le misure cautelari, le misure cautelari debbono operare una valutazione della proporzionalità della misura non solo in relazione ai fatti, ma anche all’amministrazione su cui la misura va indirettamente ad incidere, all’ufficio elettivo coperto, ai terzi rispetto per i quali la misura produce effetti. È quindi necessario un bilanciamento di questi interessi con le esigenze di giustizia. Le considerazioni svolte suggeriscono che il Tribunale di Genova, Sezione per il riesame, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca o modifica della misura cautelare ai sensi dell’articolo 310 del codice di procedura penale, provveda alla ponderazione dei diversi elementi indicati, che vanno ad aggiungersi a quello della gravità del reato, che attiene all’esigenza di giustizia: il buon andamento della pubblica amministrazione, che richiede di assicurare la continuità dell’azione amministrativa; l’investitura popolare, che impone di considerare il rispetto delle scelte compiute dall’elettorato; lo “ius in officio” di terzi che hanno una situazione giuridica attiva a mantenere l’ufficio. Qualora questi elementi non vengano presi in considerazione, resta alla parte che lamenta la violazione delle norme costituzionali di promuovere o provocare un giudizio di costituzionalità in via principale o in via incidentale. Roma, 4. 7. 24
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