Cassazione Civile, sez. II, sentenza 26 giugno 2024, n. 17613: Salvo diversa convenzione tra le parti (adottata nel rispetto dell’art. 3 L. 49/2023), ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018, non è consentito al giudice di scendere al di sotto degli inderogabili valori minimi, predeterminati da tale decreto e aggiornati a cadenza periodica ex art. 13 co. 6 L. 247/2012. L’art. 3) prevede inoltre che “sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 13 c.6 L. 247/2012 per la professione forense”.
SENTENZA … OMISSIS .. FATTI DI CAUSA: Pi.Fa. ricorre con un unico motivo, illustrato da memoria, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma in epigrafe, che ha accolto l’appello da lui proposto avverso la sentenza del Giudice di pace di Roma n. 33335/2017 pronunciata nei confronti del Comune di A. Il motivo di appello censurava la compensazione delle spese disposta dal primo giudice, nonostante che il ricorrente fosse risultato pienamente vittorioso nei confronti del Comune di A., nel contesto di un più ampio giudizio di opposizione avverso cartelle esattoriali emesse autonomamente da varie pubbliche amministrazioni. Nell’accogliere l’appello il Tribunale ha liquidato in favore dell’appellante a titolo di compenso professionale Euro 180 per il primo grado e Euro 220 per il secondo grado, oltre a Euro 85 per il primo grado ed a Euro 185 per l’appello per spese vive. Il Comune di A. è rimasto intimato. Con l’ordinanza interlocutoria n. 11289/21 il Collegio della sesta sezione ha rinviato la trattazione del ricorso all’udienza pubblica per la valenza nomofilattica del tema della derogabilità dei minimi tariffari nella vigenza del d.m. 37/2018. Il Pubblico Ministero ha concluso per l’accoglimento del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE: – Con l’unico motivo si denuncia la violazione dell’art. 4 d.m. 55/2014, come aggiornato dal d.m. 37/2018, e dell’art. 91 c.p.c. In particolare, si contesta il quantum della liquidazione dei compensi professionali, sia sotto il profilo della mancata liquidazione distinta per fasi, che sotto il profilo della liquidazione inferiore ai minimi tariffari, ancorché il d.m. 37/2018 ne abbia introdotto l’inderogabilità. Si fa valere che il valore della controversia è pari a Euro 1355,34, pari alla somma iscritta nella cartella di pagamento. – Il ricorso è fondato sotto il profilo della violazione dei parametri minimi ex d.m. 55/2014. Come ha argomentato la giurisprudenza di legittimità più recente (cfr. Cass. 9815/2023, 9818/2023, 25847/2023), nella liquidazione del compenso il giudice è chiamato dall’art. 4 co. 1 d.m. 55/2014 a tenere conto dei valori medi determinati dalle tabelle allegate al decreto. Essi possono essere aumentati fino al 50% ovvero diminuiti in ogni caso non oltre il 50% e sono soggetti ad aggiornamento biennale ex art. 13 co. 6 L. 247/2012. Rileva in particolare la previsione che i parametri medi non possono essere diminuiti oltre il 50%, senza eccezione (“in ogni caso”). Tale inderogabilità dei parametri minimi è stata espressamente introdotta con una modifica apportata dal d.m. 37/2018. Anteriormente si prevedeva che nella liquidazione non si potesse scendere di regola al di sotto del 50% nella diminuzione rispetto ai parametri medi. Su questa base testuale si argomentava che la quantificazione giudiziale del compenso e delle spese fosse espressione di un potere discrezionale. Se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, la liquidazione non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, mentre il giudice era tenuto a motivare la decisione di aumentare o diminuire gli importi da riconoscere, ulteriormente rispetto ai massimi ovvero ai minimi. L’unico limite rigido, ma a sua volta determinato attraverso concetti elastici, era dettato dall’obbligo di non ledere il decoro professionale con l’attribuire una somma scarsissima (meramente simbolica). Così, tra le altre, Cass. 28325/2022. Tale orientamento è da disattendere con riferimento alle liquidazioni sottoposte al regime del d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018. In forza della ricordata modifica, non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore al 50% dei parametri medi. Il legislatore ha deciso di circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso o le spese processuali e di garantire così (cioè, attraverso una limitazione della flessibilità dei parametri) l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale. Da ultimo, tale intenzione legislativa ha trovato un’ulteriore espressione nella L. 49/2023 in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, ove l’art. 1 dispone che “per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”, nonché – per gli avvocati – conforme ai compensi previsti dal decreto del Ministero della Giustizia ex art. 13 co. 6 L. 247/2012 (cioè, attualmente, il d.m. 55/2014). Si prevede inoltre (all’art. 3) che “sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 13 co. 6 L. 247/2012 per la professione forense”. Nel caso in esame gli importi liquidati dal giudice di appello sono decisamente inferiori ai minimi di legge per lo scaglione da Euro. 1.100,00 a Euro. 5.200,00 (nel quale rientra il valore della controversia, pari a Euro. 1.355,34) e quindi la violazione di legge è palese. – È pertanto accolto il ricorso, è cassata la sentenza impugnata, è rinviata la causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Il giudice di rinvio si atterrà al principio di diritto già enunciato da Cass. 9815/2023, 9818/2023, 25847/2023: “salvo diversa convenzione tra le parti (adottata nel rispetto dell’art. 3 L. 49/2023), ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018, non è consentito al giudice di scendere al di sotto degli inderogabili valori minimi, predeterminati da tale decreto e aggiornati a cadenza periodica ex art. 13 co. 6 L. 247/2012”. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia la causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma, il 13 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2024.