In principio fu l’idea di introdurre un reato di negazionismo climatico, poi è arrivata la proposta di legge per il reato di ecocidio, il passo tra una norma liberticida e una legge che consegna le attività economiche dei cittadini e delle imprese nelle mani della magistratura in nome dell’ambiente è breve per i rosso-verdi Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Dopo averlo annunciato nell’estate dello scorso anno, il testo per «L’introduzione del reato di ecocidio» a firma dei deputati Zaratti, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti è stato da poco pubblicato sul sito della Camera. Già dalla premessa si comprende il tenore della proposta di legge: «introdurre il reato di ecocidio nel nostro ordinamento vuol dire anche cambiare le regole di base con cui opera l’economia nazionale perché renderebbe giuridicamente e moralmente inaccettabile un eventuale grave danno alla natura, e conseguentemente riuscirebbe ad allontanare i finanziamenti dalle pratiche che distruggono in modo significativo gli ecosistemi». In parole povere, se questa legge dovesse passare, un magistrato potrebbe imputare un’azienda o un’industria operante in numerosi settori (anche strategici) paralizzando il sistema economico della nazione. Il problema è che la stessa definizione di ecocidio è molto aleatoria e interpretabile come emerge dall’articolo 2 della proposta di legge che definisce ecocidio «qualsiasi atto illecito o arbitrario commesso con la consapevolezza che esiste una sostanziale probabilità che il medesimo atto causi un danno grave e diffuso o a lungo termine all’ambiente o a un ecosistema». Eppure, secondo i deputati firmatari, introdurre il reato di ecocidio «stimolerebbe l’innovazione in una direzione sana ed ecologicamente sostenibile e avrebbe il potere di cambiare radicalmente i presupposti culturali trasformando la comprensione del nostro posto nel mondo naturale e della nostra responsabilità nei suoi confronti». In realtà, il duplice effetto che avrebbe una legge di questo genere sarebbe la decrescita in-felice e una pericolosa deriva manettara. La parte più preoccupante del testo è senza dubbio l’articolo 4 in cui si introduce una sanzione per cui «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque viola le disposizioni di cui alla presente legge è punito con la pena della reclusione da dodici a venti anni». Come spiega il parlamentare Enrico Costa si tratta del «classico utilizzo della giustizia come scorciatoia per ottenere visibilità. Come se non bastasse, si dichiara il reato imprescrittibile e il Ministero della Giustizia dovrebbe «garantire la tutela delle persone che denunciano i reati di ecocidio, che forniscono prove o che collaborano alle indagini». Tutto il contrario di ciò che servirebbe per tutelare la natura incentivando comportamenti virtuosi e favorendo un approccio produttivista.
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