Con la sentenza in questione la Suprema Corte è intervenuta, tra l’altro, sulla possibilità di invocare la non conoscenza e/o non conoscibilità della notificazione degli atti a mezzo PEC (posta elettronica certificata) da parte del destinatario se la PEC di notifica giunge nella casella di posta indesiderata (spam) di questi, ammonendo circa gli obblighi da osservare da parte del soggetto abilitato esterno ed i requisiti della casella PEC. La questione controversa: ammissibilità dell’opposizione tardiva del decreto ingiuntivo notificato a mezzo PEC (ai sensi dell’art. 3bis L n. 53/1994) sul presupposto che la PEC di notifica era stata ricevuta nella cartella di posta indesiderata (“contrassegnata come spam”) ed eliminata dal destinatario (nella specie segretaria amministrativa della società addetta alla ricezione), senza preventiva consultazione/lettura per “timore di danni al sistema informatico aziendale” (già subito in passato). Più in particolare, come si legge in sentenza, con il secondo motivo il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 647 e 650 c.p.c. perché la Corte di Appello di Bologna (che aveva confermato il giudizio di rigetto dell’opposizione reso dal Tribunale in primo grado) “non avrebbe considerato che l’addetta alla ricezione della P.E.C, già a conoscenza di una precedente aggressione virale del sistema informatico della ricorrente, era stata costretta ad eliminare la notificazione via P.E.C. del decreto ingiuntivo non opposto, al solo fine di evitare il ripetersi di una simile dannosa situazione. Tale inevitabilità della scelta dell’addetta alla ricezione P.E.C. integrava gli estremi di quella forza maggiore che avrebbe consentito di giustificare l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.”. La Suprema Corte ha escluso la possibilità di invocare tale evento come ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore idoneo a dimostrare la mancata tempestiva conoscenza del decreto che legittima alla proposizione dell’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c. in virtù dei principi e requisiti disciplinati dall’art. 20 DM n. 44/2011, vale a dire il Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi di cui al Decreto Legislativo n. 82 del 2005 (CAD – Codice dell’Amministrazione Digitale). Il ragionamento svolto dalla Suprema Corte può così sintetizzarsi: lo strumento della notificazione telematica degli atti giudiziari civili ed amministrativi (oltre che degli atti stragiudiziali) “appartiene al know how di ogni operatore commerciale — e per lui, dei suoi ausiliari — stante la sua diffusione e il suo valore di comunicazione idonea a produrre effetti giuridici” (pag. 6 Cass 17698/2021 cit.). Il riferimento normativo sul punto è rappresentato dagli artt. 6 e 48 del D.Lgs. 82/2005 a norma dei quali: “le comunicazioni elettroniche trasmesse ad uno dei domicili digitali di cui all’articolo 3-bis producono, quanto al momento della spedizione e del ricevimento, gli stessi effetti giuridici delle comunicazioni a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno ed equivalgono alla notificazione per mezzo della posta salvo che la legge disponga diversamente.” Le suddette comunicazioni si intendono spedite dal mittente se inviate al proprio gestore e si intendono consegnate se rese disponibili al domicilio digitale del destinatario, salva la prova che la mancata consegna sia dovuta a fatto non imputabile al destinatario medesimo. La data e l’ora di trasmissione e ricezione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida” (così art. 6 seconda parte D.Lgs. 82/2005 cit.); la trasmissione telematica di comunicazioni e/o di documenti informatici per via telematica, che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avvengono mediante la posta elettronica certificata ed equivalgono alla notificazione per mezzo della posta. Così l’art 48 del CAD, rubricato “Posta elettronica certificata”, che al terzo comma precisa che “La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi alle Linee guida”; 2- E’ un onere del ricevente assicurarsi del corretto funzionamento della casella di posta elettronica certificata, in particolare “rientra nella diligenza ordinaria dell’addetto alla ricezione della posta elettronica (delegato dal titolare, che ne ha la responsabilità) il controllo anche della cartella della posta indesiderata, atteso che in tale cartella ben possono essere automaticamente inseriti messaggi provenienti da mittenti sicuri e attendibili e non contenenti alcun allegato pregiudizievole per il destinatario”. Il rilievo pare condivisibile anche sul presupposto che in base di quanto previsto dall’art. 3bis co. 4 L. 53/1994 (che disciplina la notificazione degli atti civili, amministrativi e stragiudiziali per via telematica a mezzo PEC da parte degli avvocati) il messaggio deve indicare nell’oggetto la dizione: «notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994». La sentenza in esame chiarisce peraltro di essere intervenuta più volte sulla questione richiamando le precedenti sentenze nelle quali si è affermato che il titolare “dell’account di posta elettronica certificata ha il dovere di controllare prudentemente tutta la posta in arrivo, ivi compresa quella considerata dal programma gestionale utilizzato come “posta indesiderata” (Cass. n. 7752 del2020 e Cass. Sez. L. 21-05-2018, n. 12451; Cass. civ. Sez. I, 03-01-2017, n. 31; Cass. civ. Sez. VI-1, 07-07-2016, n. 13917)”. 3- Il DM 44/2011 pone a carico del “soggetto abilitato esterno privato” (nella definizione di cui all’art. 2, co. 1 lett. m.3 DM cit. vale a dire “i difensori delle parti private, gli avvocati iscritti negli elenchi speciali, gli esperti e gli ausiliari del giudice”) una serie di obblighi necessari per garantire il corretto funzionamento della casella di Posta Elettronica Certificata e, di conseguenza, della regolare ricezione dei messaggi di posta elettronica da parte del suo titolare (soggetto abilitato esterno privato). In particolare, questi è tenuto a: dotarsi di software antivirus idonei a monitorare tutti i messaggi di posta elettronica e posta certificata e verificare l’assenza di virus informatici per ogni messaggio in arrivo e in partenza, e software antispam in grado di prevenire la trasmissione di messaggi di posta elettronica indesiderati; conservare, con ogni mezzo idoneo, le ricevute di avvenuta consegna dei messaggi trasmessi al dominio giustizia; . munirsi di una casella di posta elettronica certificata che deve disporre di uno spazio disco minimo definito nelle specifiche tecniche di cui all’articolo 34 dello stesso DM 44/2011; dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare l’effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione. Secondo la Corte, nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente applicato le suddette norme e giustamente rilevato che il ricorrente non aveva adottato soluzioni idonee a scongiurare virus nelle email e PEC in entrata, né una procedura organizzativa ed operativa “alternativa a quella della mera ed immediata eliminazione del messaggio PEC nel cestino, una volta classificato dal computer come spam”, in grado di trattare diversamente messaggi PEC chiaramente riferibili ad una notifica eseguita ai sensi della legge n. 53/1994 “la cui rilevanza è nota a chi professionalmente può essere destinatario di comunicazione a mezzo P.E.C.”. Per le suesposte considerazioni conclude per il rigetto di tale motivo del ricorso. (dal sito di Cassa Forense)
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