Deve essere semplificato e reso più efficiente il sistema di esecuzione delle pene pecuniarie e della possibilità di convertirle in sanzioni limitative della libertà personale, perché attualmente, nella stragrande maggioranza dei casi, la riscossione non viene assicurata a causa della farraginosità del sistema. E ciò a differenza di quanto avviene in molti altri Paesi, in cui le pene pecuniarie costituiscono invece un’efficace alternativa alle sanzioni privative della libertà personale. È, questo, il monito contenuto nella sentenza n. 279 depositata IL 20.12.2019 (relatore Francesco Viganò) con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata da un magistrato di sorveglianza sull’articolo 238- bis del Testo unico in materia di spese di giustizia. In linea generale, l’esecuzione delle pene pecuniarie è curata dall’agente della riscossione, tenuto a notificare al condannato una cartella esattoriale e a procedere, in caso di inadempimento, all’esecuzione forzata. Se l’esecuzione dà esito negativo, il magistrato di sorveglianza – verificata l’insolvibilità del condannato – procede alla conversione della pena pecuniaria in un periodo di libertà controllata oppure, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo in favore della collettività. La norma censurata davanti alla Corte dispone che il magistrato di sorveglianza debba procedere alla conversione non solo quando l’esecuzione forzata sia stata infruttuosa, ma anche se l’agente della riscossione non abbia svolto alcuna attività esecutiva nell’arco di ventiquattro mesi. Scopo della norma è evitare che la prolungata inerzia dell’agente della riscossione paralizzi la possibilità di convertire la pena pecuniaria nei confronti dei condannati inadempienti. Ebbene, la Corte ha escluso che questa disciplina si ponga in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza, con il diritto di difesa e con la finalità rieducativa della pena. Non esiste infatti alcuna necessità, sul piano costituzionale, che il condannato sia sottoposto ad un’infruttuosa esecuzione forzata, prima di poter essere assoggettato alle sanzioni di conversione previste dalla legge, purché sia stato regolarmente informato dall’ufficio del giudice dell’esecuzione dell’obbligo di pagare la pena pecuniaria e delle possibili conseguenze in caso di inadempimento. (COMUNICATO STAMPA CORTE COSTITUZIONALE)
2. L’ufficio investe il pubblico ministero perché attivi la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente, entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione da parte dell’agente della riscossione, relativa all’infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni.
3. Ai medesimi fini di cui al comma 2, l’ufficio investe, altresì, il pubblico ministero se, decorsi ventiquattro mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell’agente della riscossione e in mancanza della comunicazione di cui al comma 2, non risulti esperita alcuna attività esecutiva ovvero se gli esiti di quella esperita siano indicativi dell’impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa.
4. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, sono trasmessi al pubblico ministero tutti i dati acquisiti che siano rilevanti ai fini dell’accertamento dell’impossibilità di esazione.
5. L’articolo di ruolo relativo alle pene pecuniarie è sospeso dalla data in cui il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente.
6. Il magistrato di sorveglianza, al fine di accertare l’effettiva insolvibilità del debitore, può disporre le opportune indagini nel luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si abbia ragione di ritenere che lo stesso possieda altri beni o cespiti di reddito e richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari.
7. Quando il magistrato di sorveglianza competente accerta la solvibilità del debitore, l’agente della riscossione riavvia le attività di competenza sullo stesso articolo di ruolo.
8. Nei casi di conversione della pena pecuniaria o di rateizzazione della stessa o di differimento della conversione di cui all’articolo 660, comma 3, del codice di procedura penale, l’ufficio ne dà comunicazione all’agente della riscossione, anche ai fini del discarico per l’articolo di ruolo relativo.
9. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 trovano applicazione anche per le partite di credito per le quali si è già provveduto all’iscrizione a ruolo alla data di entrata in vigore delle medesime.