I compensi in caso di ammissione al patrocinio a spese dello stato devono essere corrisposti dall’erario in anticipo dall’erario. Così ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza emessa nella giornata di ieri – n. 217 del 01.10.2019 – in cui muta in parte l’orientamento previgente, e di fatto sancisce l’illegittimità del metodo della prenotazione a debito. La decisione dei giudici costituzionali non riguarda solamente gli avvocati ma anche le indennità e i compensi dovuti ai notai, ai custodi e ai consulenti. COMUNICATO STAMPA CONSULTA DEL 01.10.2019: “Gli onorari e le indennità dovuti a consulenti, notai e custodi devono essere, in caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, direttamente anticipati dall’erario. Lo ha stabilito la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 217 depositata oggi (relatore Aldo Carosi), si è pronunciata sull’articolo 131, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si tratta di un parziale mutamento di indirizzo rispetto al precedente che aveva portato al rigetto di altre censure nei confronti della norma oggi dichiarata incostituzionale, ma l’impianto della motivazione è coerente con la pregressa giurisprudenza che aveva escluso che gli oneri conseguenti alla tutela dell’indigente potessero gravare su alcune categorie professionali. La novità della pronuncia sta nella dichiarazione di incostituzionalità dell’applicazione dell’istituto della “prenotazione a debito”, che secondo il precedente indirizzo doveva considerarsi di per sé idonea a soddisfare consulenti, notai e custodi. La Corte ha però riconosciuto che la “prenotazione a debito” impedisce il pagamento degli onorari e delle indennità prima dell’effettivo recupero del credito, il che molto spesso – come nel caso del patrocinio dell’indigente – non può avvenire, con la conseguente esclusione del pagamento della prestazione professionale”.