Per venti anni ho bollato come farneticazioni, o al limite tristi argomenti difensivi, le illazioni di Berlusconi sulla giustizia ad orologeria. Erano gli anni in cui mi ero appena laureato, e mi accingevo ad entrare nel mondo della professione di avvocato con incrollabile fiducia nella Giustizia. Ho avuto anche la fortuna di incontrare in quei primi anni di imprinting, dei magistrati di qualità umane e professionali straordinarie. Rispetto a quegli esempi di virtù, non davo minimo credito al disegno persecutorio sostenuto a ogni piè sospinto dal fu cavaliere. Col passare degli anni però, oltre a quei mirabili esempi di magistrati, ne ho incontrati tanti, troppi, che rappresentavano l’esatto opposto di quei valori umani e professionali.Queste premesse sono fondamentali per le successive considerazioni. Anche i non addetti ai lavori, in occasione dell’arresto dei genitori di Renzi, hanno percepito la “tempestività” di un’ordinanza, chiesta dal PM quattro mesi prima e riferita a fatti di sei anni prima. Anche i non tecnici, come Mentana (giornalista navigato) ha colto l’assoluta sproporzione tra il reato contestato e la misura applicata, della quale non si intravedono i presupposti richiesti dal codice: pericolo di fuga, rischio di inquinamento delle prove, reiterazione del reato.Tutti palesemente insussistenti: si tratta di italiani stabilmente residenti e con forti vincoli col territorio; le fonti di prova sono essenzialmente documentali; gli indagati non rivestono più alcun ruolo societario.Ma ciò che solo i tecnici possono cogliere, è la singolare fascia oraria dell’esecuzione della misura, avvenuta non già, come accade praticamente sempre, alle 7 del mattino, ma in prime time, ideale per diffondere la notizia in diretta dai principali telegiornali, in concomitanza con l’esito della consultazione online sull’autorizzazione a procedere per Salvini.Una consultazione che, a prescindere dall’esito, avrebbe concentrato le attenzioni – negative – della pubblica opinione, comunque schierata.A tutto c’è un limite. A questa somma clamorosa di singolari coincidenze non può attribuirsi casualità.Ieri gli iscritti alla piattaforma Rousseau hanno stabilito (dando precisi ordini ai propri parlamentari di riferimento) che la privazione della libertà di esseri umani è un legittimo (e insindacabile dalla magistratura) strumento per cercare di raggiungere obiettivi politici (per giunta di microscopico cabotaggio). E ieri si è concretizzato il legittimo sospetto che la libertà di due settantenni sia stata sacrificata, analogamente, per finalità politiche, con una modalità in grado di superare l’arroganza e sforare nella protervia. E dato che la libertà, in uno Stato democratico, è e deve restare il primo e indefettibile valore da tutelare, penso sia giunto il momento di riflettere seriamente sulla necessità, e urgenza, di una riforma della Giustizia che abbia pochi, ma significativi obiettivi. La magistratura giudicante deve essere realmente terza. Non deve esserci rapporto di colleganza tra chi accusa e chi giudica quelle accuse. Le rispettive carriere non devono essere condizionate, come oggi accade, in un contesto di correnti degne della peggiore partitocrazia. Chi sbaglia deve pagare di tasca propria. È il primo necessario corollario dell’indipendenza assoluta di cui la Magistratura gode nel nostro ordinamento. Altrimenti, si può optare per un modello diverso, come quello angloamericano, dove i Magistrati sono irresponsabili, ma vengono eletti o nominati dal governo. Il giudizio sulle misure cautelari massimamente afflittive (carcere e domiciliari) deve essere formulato da un Collegio giudicante, e non da un singolo magistrato, certamente più esposto al condizionamento da parte della Procura. I dati in tal senso sono chiari: lo scarto tra misure cautelari applicate e condanne conseguenti è esorbitante, patologico.Il magistrato che decide di dedicarsi alla politica, a qualsiasi livello, deve lasciare deifnitivamente il ruolo. Il Partito Democratico si è posto, in questi anni, quale difensore dello Stato di Diritto e quale argine al populismo e la cui peggiore forma è quella del populismo giudiziario. Oggi più che mai, nel giorno in cui viene colpito uno dei suoi principali esponenti (probabilmente il più capace) non deve avere timore di dire che la misura è colma. Anche facendo ammenda (come ho fatto nell’incipit di questo articolo) per tutte le volte in cui, negli scorsi anni, non è stato in grado di vedere, o ha fatto finta di non vedere, l’inaccettabile invadenza della magistratura nella vita politica del Paese. E subito dopo affrontare e risolvere il problema, senza alcuna forma di sudditanza, è il miglior modo per (cercare di) riconquistare quella credibilità che la politica ha ormai perduto. (di Michele VAIRA – Avvocato Penalista del Foro di Foggia)
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