SPAZZACORROTTI, LA PARTITA NON È CHIUSA di Gian Domenico CAIAZZA

ll Presidente della Repubblica ha impiegato più di 20 giorni – un record- per apporre la sua firma di promulgazione della legge c.d.“spazzacorrotti”. L’appello dei penalisti italiani e di 150 cattedratici di tutte le Università del Paese, nella sostanza pienamente condiviso dal Consiglio Superiore della Magistratura nel suo inequivocabile parere richiesto dallo stesso Ministro di Giustizia, deve evidentemente aver creato non pochi crucci al Capo dello Stato. Non possiamo che prendere rispettosamente atto della sua scelta finale, che d’altronde sconta anche i noti limiti di sindacato di costituzionalità connessi a quel potere di firma, come già si è potuto riscontrare a proposito della polemica sul c.d. “decreto sicurezza”. Quel che è certo è che gli eclatanti problemi di compatibilità costituzionale di questo provvedimento, non certo limitati alla sola norma abrogativa (a decorrere dal 1 gennaio 2020) della prescrizione dei reati dopo la sentenza di primo grado, restano intatti. Basti pensare, per fare uno degli esempi più eclatanti, alla inclusione dei reati contro la Pubblica Amministrazione nell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, sicchè un peculato o una corruzione del valore -per fare un esempio- di qualche migliaia di euro viene equiparato alla costituzione di una sanguinaria associazione mafiosa, o a uno stupro di gruppo, ai fini della ostatività alle misure alternative alla detenzione. Si aggiunga che tale durissima ed irragionevole modificazione del regime colpirà indiscriminatamente e retroattivamente quanti abbiano già fatto scelte processuali di rinunzia all’esercizio pieno del diritto di difesa (patteggiamento o rito abbreviato) sapendo di poter contare, leggi vigenti alla mano, sulla possibilità di richiedere l’ammissione ad espiare la pena non in carcere. Insomma, uno Stato che, in nome di una ossessiva ubriacatura giustizialista, non esita a modificare unilateralmente le norme pattizie stipulate con i propri cittadini: una vergogna inqualificabile. Quanto alla abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, la posticipazione di un anno nella grottesca speranza di riuscire in pochi mesi a velocizzare drasticamente i processi penali dà il segno di quanto la maggioranza abbia accusato il colpo della rivolta della comunità dei giuristi italiani, ma anche di quanto essa non sia disposta a recedere dalla dimensione propagandistica della propria politica. Il Ministro Giulia Bongiorno, autorevole esponente di quella maggioranza, sa perfettamente che se quella riforma è destinata ad avere sul processo penale l’effetto di una “bomba atomica” (parole sue), non sarà la postergazione di un anno a risparmiarci da quella devastazione. Ed infatti, si è in questi giorni precipitata – a nome quantomeno della componente leghista della maggioranza- a rassicurarci sullo slittamento ulteriore della entrata in vigore di quella norma, ove la riforma palingenetica del processo penale non veda la luce -udite udite- entro novembre di questo nuovo anno. Garantisce il Ministro Bongiorno che ciò sarebbe sancito da un patto tra gentiluomini, diciamo così, interno al Governo; patto ad oggi clandestino, non essendo stato né assunto pubblicamente dagli asseriti contraenti, né ora confermato dal Ministro di Giustizia o dal capo politico del M5S. Si vedrà. Noi possiamo solo garantire che l’impegno, politico e giudiziario, dell’UCPI – Unione Camere Penali Italiane contro questo sgorbio giuridico indegno di un Paese civile non arretrerà di un millimetro, anzi moltiplicherà i suoi sforzi.

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